Operare
o non operare? Il classico dilemma si pone spesso anche per il
trattamento delle rotture acute del tendine di Achille. Ha provato a
rispondere una nuova revisione della letteratura pubblicata sul Journal of the American Academy of Orthopaedic Surgeons
e ha mostrato outcome sostanzialmente positivi ottenibili sia con la
chirurgia minimamente invasiva sia con un approccio conservativo tramite
l’utilizzo di una cavigliera, specie negli atleti amatoriali.
Secondo alcuni studi, la scelta di non operare si era associata in
passato a un tasso più elevato di nuovi infortuni e a un maggior rischio
di infezioni, ma oggi le opzioni di trattamento non chirurgico si sono
ampliate e comprendono la riabilitazione funzionale, resa possibile da
tutori rimovibili che consentono il movimento e l’esercizio fisico e
riducono il rischio di infezioni e ri-rotture rispetto
all’immobilizzazione a cui si ricorreva una volta. Parallelamente, anche
le procedure chirurgiche si sono evolute portando a una riduzione delle
complicazioni e in particolare delle infezioni e sembrano ancora oggi
la soluzione migliore per gli atleti professionisti o, in generale, per
quei pazienti che svolgono professioni fisicamente impegnative.
La revisione ha dunque confermato, con la forza delle evidenze scientifiche, alcune tendenze già chiare agli addetti ai lavori.
Intanto, le percentuali di ri-rotture del tendine sono più basse di quelle riportate in passato e una ricerca recente non ha trovato differenze tra la riabilitazione funzionale e la chirurgia minimamente invasiva. Risultati sostanzialmente paragonabili si sono avuti anche riguardo ad altri parametri misurati a lungo termine, come la circonferenza del polpaccio, il range of motion della caviglia e la forza.
La riabilitazione funzionale comporta una più rapida ripresa della mobilità e un ritorno anticipato al lavoro rispetto all’immobilizzazione per otto settimane, prevista in passato da alcuni protocolli. Sotto questo aspetto, tuttavia, il trattamento chirurgico offre risultati ancora migliori e, qualunque siano le procedure adottate (open o mininvasive) comporta mediamente un ritorno al lavoro 19 giorni prima rispetto all’approccio conservativo. I pazienti operati mostrano anche un piccolo, ma statisticamente significativo, aumento della forza di flessione plantare della caviglia, che può essere utile negli atleti che fanno sport agonistico.
«Per gli atleti dalle elevate esigenze funzionali – ha dichiarato
Anish Kadakia, professore alla Northwestern University e principale
autore della revisione – il trattamento chirurgico minimamente invasivo è
da ritenere superiore rispetto a quello conservativo, in quanto
minimizza le complicazioni dei tessuti molli e si associa la maggior
recupero di forza e resistenza».
La revisione evidenza infine l’assenza di studi che supportino le
iniezioni di prp per il trattamento delle lesioni del tendine d’Achille:
quelli finora condotti non evidenziano miglioramenti nei parametri
funzionali. Al contrario, l’utilizzo di cellule staminali derivate dal
midollo ha mostrato risultati promettenti in studi preliminari condotti
su modello animale.
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